AUDIZIONE FINCO “LEGGE ANNUALE PER IL MERCATO E LA CONCORRENZA 2021”

Audizione FINCO

 “Legge annuale per il Mercato e la Concorrenza 2021”

(Roma 8/2/2022)

Atto Senato 2469

Dr. Angelo Artale Direttore Generale Finco

 

Ringraziamo la 10° Commissione Industria, Commercio, Turismo del  Senato ed il Suo Presidente per aver voluto ascoltare anche le ragioni delle imprese specialistiche e superspecialistiche che sono interessate al tema della concorrenza più di quanto forse si possa immaginare.

Il fatto che, dopo anni di vacatio, 2017 a parte, stiamo analizzando un testo di Legge sulla Concorrenza per il 2021 è, di per sé, positivo.

Detto questo va anche osservato che, a nostro avviso, gli argomenti ed i temi che mancano sono, purtroppo, più di quelli presenti nel provvedimento.

Confidiamo che in questo iter il Parlamento possa avere il tempo per un’analisi sufficiente e di reale indirizzo.

La Federazione – che rappresenta 17.000 imprese suddivise in 40 Associazioni con una  media di 29 dipendenti (cui si arriva però con punte di aziende che ne hanno 1000, quindi la reale dimensione media è sui 20) –  ritiene che nel Paese ci sia bisogno di più concorrenza, contrariamente a quanto alcuni sostengono o che, pur non sostenendolo palesemente, operano nei fatti in questa direzione e sono a nostro avviso ancora molti.

In questo senso la riforma del Titolo V della Costituzione  – va detto con chiarezza e senza tentennamenti – si è rivelata del tutto controproducente.

Il presupposto per una reale e sana concorrenza è uno Stato amico  e “semplice”, l’opposto di ciò che oggi abbiamo.

Ed in questo quadro – ed in premessa – è assolutamente necessario chiarire che  l’enfasi posta sulla digitalizzazione della  P.A. deve essere realmente  indirizzata a facilitare la vita di chi sta idealmente  “dall’altra parte” dello sportello e non finalizzata solo ai maggiori o minori carichi di lavoro e responsabilità degli Uffici.

Per non andare lontano, provate a utilizzare uno Spid delle Poste (di cui all’articolo 22 del Provvedimento), Azienda ormai concentrata su attività bancarie, dimentica del perché ha un monopolio in questo Paese.

Ma sul tema  decisivo dei grandi Gruppi controllati, torniamo più avanti.

Le nostre Pmi sono costrette a devolvere una parte incredibilmente rilevante delle loro risorse per assolvere ai compiti burocratici per i quali non dovrebbe essere, invece,  loro richiesto un impegno sproporzionato.  Impegno – per partire da un punto banale ma emblematico – che non dovrebbe  – senza eccezioni di sorta , senza alcuna deroga ed in nessuna circostanza  –  contemplare la produzione di documentazione già in possesso della Pubblica Amministrazione, come ancora succede (provate a fare un passaporto, a proposito dell’importanza dei mercati esteri…).

E con l’espressione “Pubbliche Amministrazioni” si deve fare riferimento ad un’accezione molto ampia ricomprendendovi, ad esempio, tutti gli Enti Territoriali e le diverse Autorità Indipendenti.

 Riteniamo necessario ribadire: la semplificazione e la riduzione degli oneri amministrativi sono presupposti non sufficienti ma necessari per una reale concorrenza in particolare per il mondo delle piccole imprese.

In proposito, l’attuale formulazione dell’articolo 24 del Provvedimento in esame ricalca affermazioni di principio che abbiamo nel tempo più volte letto senza reale esito (per citarne una, l’articolo 20 dei lavori preparatori – Atto Senato 2243 del giugno 2010 – che recitava “Al comma 3 dell’articolo 20 della Legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, è aggiunta, in fine, la seguente lettera: n-bis) eliminazione degli obblighi informativi non necessari o sproporzionati ai fini della tutela dell’interesse pubblico, riducendo, in particolare, in modo mirato quelli richiesti alle piccole imprese”, nonché quanto previsto all’articolo seguente “Misure per la riduzione degli oneri burocratici e da regolazione”).

Facciamo un passo avanti e due indietro.

La recente vicenda relativa ai bonus fiscali ed alle cessioni del credito fornisce purtroppo un’immagine plastica di quanto sopra, su cui non ci soffermiamo benchè meriti, poiché non è oggetto di questa Audizione.

Sarebbe invece necessario – sul tema di cui trattasi – fermarsi e verificare effettivamente il risultato delle norme a più riprese emanate dall’Esecutivo  e dal Legislatore ai fini di semplificare il tessuto burocratico amministrativo del nostro Paese, utilizzando anche una certa fantasia nella titolazione (“Semplifica Italia“,  “Destinazione Italia“, “Taglia Oneri”, “Cura Italia”, Garanzia Italia”,  e potremmo continuare a lungo) in fase di ideazione, ma venendo assolutamente meno in fase di controllo e monitoraggio delle norme.

E’ di reale responsabilità di chi è preposto ad applicarle.

Puntualmente, e non casualmente, viene tralasciata la parte “impopolare” – quanto assolutamente necessaria – del controllo e delle eventuali sanzioni.

Non c’è stato Ministro della Pubblica Amministrazione, o della Funzione Pubblica che dir si voglia, che non si sia insediato individuando correttamente la semplificazione e la sburocratizzazione come la madre di tutte le riforme. Da Urbani a Cassese, da Frattini a Patroni Griffi,  da Madia a Brunetta, da Bassanini a Buongiorno e così via,  e tutti – aldilà della buona volontà –  non hanno realmente cambiato l’assetto di questo Moloch cui vengono sacrificate molte Pmi.

Sotto questo profilo sarebbe ora di dare vita ad un Ministero delle PMI, piuttosto (o almeno insieme) ai numerosi Tavoli di crisi di aziende che, nella maggior parte  dei casi, non sono in grado di operare nel  mercato in termini di concorrenza.

Spiace naturalmente per gli effetti sociali di tali crisi, ma occorrerebbe concentrarsi di più sulla parte sana del tessuto produttivo, la cui vitalità sarebbe in grado di rimediare alle ferite dei fallimenti di mercato e di gestione, ove adeguatamente supportata.
In premessa, si è affermato che alcuni aspetti sono presenti in questo provvedimento sulla concorrenza mentre molti altri no: manca ad esempio, per venire più vicino al mondo delle costruzioni,  una reale riforma della Conferenza di Servizi, riforma che deve essere finalmente incisiva (tutti i verbi  declinati con la voce del verbo “potere” (possono), devono essere sostituiti con la voce del verbo “dovere” (debbono) e questo vale  per molti degli aspetti che disciplinano la P.A.);  manca una reale semplificazione del mercato delle locazioni a uso non abitativo che consentano veramente, tra soggetti di pari capacità contrattuale, accordi diretti in deroga alla normativa; manca una facilitazione del cambio di destinazione d’uso degli immobili, pur tenendo conto dei vincoli urbanistici.

Si poteva e doveva osare qualcosa in più, nel settore dei servizi pubblici Locali.

Ciò interessa molti cittadini ed interessa certamente gli imprenditori per i quali l’efficienza e la certezza nella mobilità è fondamentale.

Ma più in generale ci troviamo spesso in presenza di Servizi Pubblici Locali che sottraggono indebitamente, ed inefficientemente dal punto di vista del contribuente, mercato ai privati e che spesso assicurano una prestazione assolutamente inadeguata. Restano a tutto il 2019, 8175 Partecipate pubbliche nell’industria e nei servizi, secondo ISTAT.

Ed è perfettamente inutile ai fini di conseguire lo scopo di riportare al mercato ed alla concorrenza almeno parte di queste situazioni anomale, l’elenco puntuale delle deleghe al Governo quando al punto l) dell’articolo 6 (Deleghe in materia di servizi pubblici locali), figura  l’indirizzo di “prevedere una disciplina che, in caso di superamento del regime di gestione dei servizi pubblici locali in autoproduzione, assicuri un’adeguata tutela occupazionale anche mediante l’impiego di apposite clausole sociali” . Cosa si è voluto dire con questa affermazione? E’ semplicemente ridondante o significativa di ulteriori barriere?

Ci sono infatti già stringenti clausole sociali rispetto alle quali si sono peraltro pronunciati proprio l’Autorità Antitrust con parere dell’11/12/2015 ed il Consiglio di Stato Sezione V – 2 novembre 2020, n.676.

Per il resto la reale tutela occupazionale si ottiene attraverso la realizzazione crescente e l’affidamento trasparente, ed appunto concorrenziale, di appalti, non aumentando le già non poche e complesse regole previste dalla normativa nazionale.

Sul tema si è pronunciata altresì l’Autorità Anticorruzione Anac. Appare davvero arduo – diciamo meglio del tutto NON condivisibile – andare oltre dette pronunce, che invece andrebbero studiate ed acquisite. La “clausola” adeguata ed efficace è quella di supportare e premiare le imprese e le maestranze realmente qualificate.

Alcuni passaggi avrebbero dovuto essere più incisivi perché nell’iter parlamentare corrono il fondato rischio di essere “diluiti”. Mi riferisco, per esempio, al già accennato tema  del trasporto pubblico locale, ma anche a  quello pubblico individuale – ovvero i taxi. La vicenda Uber,  resa in Italia specie a Roma, del tutto marginale ed inadeguata, è di insegnamento.

All’articolo 10 viene opportunamente modificata la disciplina dei controlli sulle Società Partecipate. Il punto rimane tuttavia quello della possibilità di inserirsi nel mercato da parte di operatori privati in presenza di una pervasiva ed asimmetrica influenza delle suddette Partecipate. Anche in questo caso la fase autorizzativa è decisiva. In proposito alleghiamo una sola proposta di importante semplificazione riguardante il PAUR (Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale) in tema di rifiuti che si dovrebbe inserire, ratione materiae, nell’art. 12 (Servizi di gestione dei rifiuti).

Ma vi è un altro aspetto sul quale si doveva osare molto di più: quello del  settore dell’energia.

Come tutti Voi sapete questo tema è di drammatica attualità. Il tempo è poco e veniamo subito al punto: non è più possibile consentire che alcune società controllate, in primis Enel, esercitino un potere tale da alterare il mercato dell’energia in questo Paese.

Si tratta di imprese che hanno una capacità di influenza sui Decisori incredibilmente elevata (in particolare presso il Mise ed ora presso il Mite) e che, peraltro, sembra siano destinate ad essere escluse dai soggetti sottoposti alla licenzianda Legge sulla Lobby: ed anche questa è una stortura, così come quella che vede escluse le compagini associative (dagli obblighi del Registro dei Portatori di Interesse); lo diciamo contro il nostro stesso apparente interesse. Dico apparente perché i Portatori di Interesse seri hanno tutto da guadagnare da una vicenda trasparente ed ordinata delle relazioni istituzionali.

Nel caso di Enel abbiamo poi una “tempesta lobbistica perfetta”, poiché di fatto è compenetrata in Confindustria in maniera assolutamente rilevante, alla quale ha aderito ed aderisce in oltre 150 circostanze tra Associazioni di Territorio e di Categoria e con varie ragioni sociali (Enel, Enel Energia, Enel Distribuzione, Enel Green Power, Enel X, etc..), con una lobby “da fuori e da dentro”, e con i conseguenti esborsi in termini di contributi associativi dal 2004.

Un’azienda che è riuscita a impedire in sostanza una reale diffusione dell’energia autoprodotta in maniera significativa che ancora oggi “sorprende la buona fede” del consumatore nella modulistica –  è solo un banale ma emblematico esempio – che fa firmare per esempio quando, utilizzando un nome diverso che trae in inganno e cioè Servizio Elettrico Nazionale,  chiede di sottoscrivere un articolo  in cui il Foro competente non è quello della residenza del consumatore ma quello dove ha sede l’utenza.

Ma soprattutto, extra profitti o meno, resta il fatto che in bolletta si pagano percentuali altissime per oneri diversi dal costo dell’energia.

Non sarà un caso se, contrariamente a quanto succede in altri paesi, in Italia il principale oggetto di interesse da parte dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il  Mercato non sono  i gruppi privati ma i grandi gruppi pubblici. Ciò senza contare il  punto di vista “comportamentale” , eticamente rilevante in una impresa che deve gran parte dei suoi ricavi alle bollette degli italiani, come dimostra la sanzione recentemente comminata ad Enel Energia per telemarketing aggressivo per oltre 26 milioni di euro!

 L’articolo 29Rafforzamento del contrasto all’abuso di dipendenza economica” costituirebbe un fondamentale passaggio, che peraltro riprende una normativa già contemplata anche dalla Legge 11 novembre 2011, numero 180, all’articolo 10 comma a), non a caso denominata “Norme per la Tutela della Libertà di Impresa, Statuto delle Imprese”. Tale Legge, oltre a ribadire opportunamente all’articolo 3 la libertà di associazione (sembra paradossale ma nel caso di una confederazione citata poc’anzi, questa non è statutariamente prevista ed è, anzi, ostacolata con norma ad hoc, e anche sul tema della concorrenza nel campo associativo ci sarebbe molto da dire a partire dal ruolo svolto dal Cnel) prevedeva, anche essa, una riduzione e trasparenza degli adempimenti amministrativi a carico dei cittadini e imprese (articolo 7) – ma anche, all’articolo 18, nell’ambito dello Small  Business Act, una opportunissima Legge annuale per le micro, le piccole e medie imprese, che andrebbe ripresa insieme al Garante per le PMI.  Ma soprattutto ci si chiede come, nell’ambito degli appalti pubblici, questa previsione possa coesistere con l’eliminazione del massimo ribasso del 20% tra appalto e subappalto che apre senza dubbio “praterie” ad abusi di dipendenza economica.

L’Antitrust (articoli 28 e 32) – cui si è dato maggiore potere tramite il doppio rafforzamento, da un lato, dei poteri di valutazione di operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza e, dall’altro, opportunamente, dei poteri di contrasto all’abuso di dipendenza economica, di fatto allineando maggiormente il quadro normativo nazionale a quello della Commissione Europea e della gran parte dei Paesi dell’Unione – ha più volte segnalato la mancanza di reali motivazioni per non far rientrare nel perimetro del mercato alcuni servizi pubblici attualmente gestiti da partecipate e/o controllate della P.A.

Il provvedimento prevede, condivisibilmente, una delega al Governo per costituire un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni, al fine di promuovere la massima informazione circa i principali dati e notizie relative a tutti i rapporti concessori.

Assai opportuno, tra gli altri, l’intervento riguardante le modalità di individuazione della governance delle Autorità indipendenti. Anche qui si poteva osare qualcosa in più, ma è un primo passo: alcune di queste Autorità – è il caso, per esempio, della citata Autorità Garante del Mercato, della Concorrenza e dell’Anac – svolgono un ruolo importante nella difesa degli interessi degli utenti; altre, e faccio il caso dell’Autorità Garante per la Privacy, sono assolutamente carenti nel compito principale loro affidato e costituiscono per il contribuente un danno (si veda la recente posizione dell’Autorità sul sostegno alla modalità del “risponditore” automatico dopo quattro anni di ritardi, si veda la continua ininterrotta ricezione di telefonate “moleste”) , oltre che una non indifferente spesa.

Di grande interesse è poi l’articolo 26, relativo alla organizzazione del Sistema di Vigilanza sul mercato, sul quale abbiamo a più riprese indirizzato nota ai competenti Dicasteri, e sul quale confidiamo di poter portare il nostro contributo nell’ambito delle attività di espletamento della Delega da parte del Governo.

Resta tuttavia il fatto che tale compito è già incardinato nell’ambito delle competenze dei Ministeri per materie e, tra questi, il Mise.

In particolare – su un tema per Finco assai importante stante la relativa rappresentanza che esprime – dobbiamo rilevare che per i prodotti da costruzione, ancora oggi non si dispone di un decreto interministeriale Mise, Mims, Ministero dell’Interno che avrebbe dovuto porre le regole di una efficiente vigilanza. Non è trascurabile l’informazione che il testo avrebbe dovuto vedere la luce entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 106 (del 2017).

Il Codice del Consumo anche questo risalente a più di qualche lustro (2005) che affida al Mise come Ministero capofila la responsabilità della vigilanza del mercato ci risulta applicato solo formalmente.

Non appaia irriguardoso sostenere che il riordino della vigilanza, come la delega vuole, presupporrebbe un sistema già in atto ed un input del Parlamento al Governo in termini di revisione e sistematizzazione.

Se una organizzazione dei controlli delle merci alla frontiera risulta in essere collaudata, altrettanto non può dirsi sui prodotti una volta immessi sul mercato ed offerti al consumo.

In questa fase i Ministeri non colloquiano un granchè tra loro ed il Mise fa fronte ai propri numerosi compiti appaltando talvolta all’esterno le proprie funzioni: ad esempio ogni anno vengono impiegati dal Mise milioni di euro provenienti dalle multe comminate dall’Antitrust attraverso Convenzioni, una delle quali, con ripetuti affidamenti ad UNIONCAMERE.

In tema di supporto alla Vigilanza – e comunque di qualità delle prestazioni –  vi sono poi due Enti, in questo momento davvero strategici, quali Accredia e UNI (ed anche CEI), sul ruolo dei quali occorrerebbe aprire una riflessione tanto più  data l’importanza  che essi rivestono, e rivestiranno, nell’ambito delle attività connesse al PNRR.

Circa il 60% delle ingenti risorse del PNRR sono prestiti che andranno rimborsati, onde non compromettano la tenuta del debito pubblico, e la tenuta complessiva del Paese. Sono fondi che quindi vanno utilizzati con attenzione e iniettati nel sistema per il recupero del Pil, oltre che per rivitalizzare l’economia, evitando gli sprechi e attraverso l’opera di imprese di qualità.

Tutto ciò passa anche attraverso tali soggetti, deputati all’accreditamento ed alla certificazione che svolgono, in forza di normativa comunitaria trasposta in quella nazionale, delicate funzioni pubbliche in regime di monopolio assoluto.

Ad essi spetta il compito di far crescere –  in qualità e quantità –  la normazione tecnica che da volontaria sempre più  viene ripresa come cogente in sede di provvedimenti di Legge e la  certificazione accreditata rispetto a un mercato spesso disordinato (ed anche in questo caso l’esempio di quello nato fulmineamente con il superbonus ci fornisce un rifermento o anche il caso delle mascherine anti covid).

Accredia ed Uni sono in grado di assolvere a questo ruolo? Hanno la necessaria terzietà? Hanno un corpo sociale aperto?

La creazione dell’inutile se non controproducente, “Infrastruttura della Qualità”, tra di essi medesimi ed i soggetti certificatori, soggetti che già sono grandemente interfacciati, fa sorgere dei dubbi in proposito (tenuto anche conto della esclusione delle imprese da tale filiera).

Occorre lavorare affinché il 2022 sia un anno di crescita sostenuta per tutti i settori dell’economia, in quanto – e vorremmo che questo dato fosse opportunamente valutato –  il record del 6,5% di crescita  va ricondotto, prevalentemente, ad un’ottima performance del settore manifatturiero, che è riuscito ad assorbire anche una certa fetta di popolazione attiva disoccupata. È proprio questo settore che necessita più di altri di un accreditamento di livello e di una normazione tecnica all’altezza.

Non è sufficiente, infatti, avere molte risorse economiche a disposizione, ma occorre anche “riclassificare” le nostre imprese per renderle più appetibili nei mercati interni e internazionali, con un maggiore appeal presso gli investitori, sia pubblici che privati.

Occorre, pertanto, avere un Ente di accreditamento efficiente, imparziale e proattivo in grado di far fronte all’aumento delle esigenze di certificazione, particolarmente nei settori prioritari del PNRR, attualmente assai poveri di certificazione: sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica, coesione e connessione territoriale.

Riteniamo in questo senso che, piuttosto che la suddetta “Infrastruttura della Qualità”, occorrerebbe recuperare un più incisivo ruolo di indirizzo e controllo del settore pubblico ed in questo senso la Federazione sta predisponendo alcune proposte da sottoporre al Decisore.

 

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